CURIOSITA'





La scapece



La scapece è una particolare conserva di pesce tipica del litorale vastese. Nella preparazione possono essere utilizzate diverse specie ittiche: ali di razza e palombo bianco e, a piacere, molluschi e pesce di scoglio. Il pesce fresco viene lavorato (diliscato, eviscerato, pulito, rifilato, tagliato a tranci) e fritto in olio extravergine di oliva per 10-15 minuti. Quindi viene sgocciolato e raffreddato a temperatura ambiente per circa un’ora e immerso in una salsa composta da aceto e zafferano che gli conferisce un caratteristico colore dorato. Il preparato viene quindi conservato, secondo la migliore tradizione, in tini di legno, in contenitori ermetici di acciaio e destinato alla vendita sfusa presso fiere, mercati e sagre.La preparazione della “scapece” vastese ha un’antichissima tradizione, è un’arcana ricetta che i produttori locali si tramandano da generazioni. Si consuma come antipasto e si conserva in frigo anche 8-10 giorni. Fino alla fine del 1840 esisteva un acetificio a Vasto condotto dalla famiglia Molino che confezionava la scapece e la esportava in tutta Italia. Oggi è quello che si definisce un vero prodotto di nicchia. 






Paste di casa


L'acqua, l'aria, la sapienza della tradizione, le trafile in bronzo, semole di grano di prima qualità: ecco i semplici segreti della pasta fresca abruzzese, punto di forza della gastronomia regionale.
La pasta, lavorata a mano, a base di semola di grano duro e farina di grano tenero, viene in genere tagliata a mano con un arnese tipico, la chitarra o “carraturo”, che è formato da un telaio di legno su cui sono tesi dei fili di acciaio: la sfoglia vi viene poggiata e quindi rullata con forza col matterello, in modo che i sottili fili paralleli d’acciaio la taglino in “spaghetti“ a sezione rettangolare.
Gli “ndurciullune”, tipici dell’area scernese, rappresentano la tipologia meno sottile della pasta alla chitarra. Per essere gustati appieno, vanno conditi con sugo a base di carne di castrato o di pecora, pomodoro a pezzetti, olio extravergine di oliva e varie spezie aromatiche. Questo piatto nasce dall’incontro della civiltà contadina con quella pastorale, che avveniva durante la transumanza, in quanto riunisce le materie prime più utilizzate in entrambe le culture. La sua origine è perciò sicuramente stata trasmessa oralmente dai contadini anziani.
Le sagne a pèzze o ‘tacconelle’, sono preparate con un impasto di acqua, semola di grano duro e farina di grano tenero va steso in una sfoglia dello spessore di 2 mm, che viene poi tagliata a strisce oblique della larghezza di 4 cm circa, in modo da ottenere tanti pezzettini a forma di rombo con rapidi colpi di coltello.
Le sagne vengono esaltate da un condimento di estrema freschezza e semplicità, a base di sugo di pomodoro fresco a pezzetti, basilico, aglio e olio extravergine d’oliva, che preferibilmente deve restare abbastanza brodoso e insaporito con formaggio pecorino grattugiato. Altri condimenti adatti sono i legumi, generalmente fagioli, ceci o fave fresche con guanciale o con uno squisito sugo di ventricina. Molto pittoresca l’usanza di Castiglione Messer Marino, dove “le sagne a lu cuttor”, condite con salsicce di carne e di fegato, pancetta di maiale e peperoncino, vengono consumate con le nude mani direttamente dal paiolo di rame.





Pandolce Aragonese


Si narra che Maria D’Aragona, moglie di Alfonso D’Avalos Marchese del Vasto, amasse avere sulla sua tavola, per se e per i suoi ospiti, questo buonissimo dolce, un prelibato zuccotto Vastese di finissimo cacao, mandorle naturali, glassa di zucchero, miele, acqua, farina e uova, liquore, cannella e limone.

Ne rimasero estasiati tutti, il Red Ferdinando di Napoli, il celebre pittore Tiziano e tutta la corte milanese. Per questo motivo oggi la famiglia Del Fra (“Le furnarille”, antico forno di Vasto) ha deciso di riprendere questa ricetta e continuare a produrre il Pandolce nel rispetto della tradizione e della genuinità degli ingredienti usati.

Caprino di Montefalcone del Sannio


 Il formaggio di capra è prodotto un po’ in tutta la regione Molise dove sono presenti allevamenti prevalentemente bradi, ma in particolare a Montefalcone del Sannio è molto rinomato il formaggio ottenuto dalla razza autoctona: la Capra di Montefalcone. Al latte appena scaldato a 38 gradi centigradi viene aggiunto il caglio, quando la cagliata raggiunge una buona consistenza viene rotta in grani fini e lasciata precipitare sul fondo portando contemporaneamente la temperatura a 42 gradi centigradi. Quando la massa si è concentrata viene prelevata dalla caldaia e pressata nelle fuscelle di giunco, queste vengono poi calate interamente nel siero bollente della lavorazione della ricotta. Le forme così ottenute vengono salate a secco per 24 ore. La produzione si protrae da aprile a settembre, la maturazione avviene in tradizionali cascere appese sotto al soffitto per un periodo non inferiore a due mesi in cantine fresche e ben areate. Ne derivano delle forme dal peso di circa 500/600 gr. Con una crosta lievemente rugosa di colore giallo paglia. La pasta, invece, risulta tenera, umida e di colore bianco gesso.




PECORA ALLA CALLARA


La "callara" o "cottora" è il tradizionale paiolo di rame ancora in uso dove i pastori cucinavano la pecora lungo il tragitto transumante che li portava in autunno verso i pascoli della Puglia. Ci finivano dentro solo le carni di bestie malate o azzoppate, aromatizzate con le erbe selvatiche. Bollitura preventiva e lunghissima cottura: 9 ore in tutto. Oggi la qualità delle carni è eccellente ed è possibile trovare questo piatto in trattorie ed agriturismi abruzzesi e molisani. A Capracotta, in provincia di Isernia, è famosa la sagra della 'pezzata' che si tiene ogni anno la prima domenica di Agosto.





IL TARTUFO









Il suo impiego, il suo profumo e la crescita insolita diedero origine a numerose leggende sulla sua nascita e sui suoi effetti. Plutarco ipotizzò che esso fosse il risultato della combinazione di calore, fulmini ed acqua. Tale ipotesi fu sostenuta anche da Giovenale che attribuiva la sua origine alla leggenda secondo cui Giove scagliò un fulmine presso le radici di una quercia dando origine ai tartufi. Plinio lo definì il “callo della terra”. Pitagora e Galeno ne sostennero le proprietà afrodisiache, dedicandolo ad Afrodite (Venere), dea dell’amore. Sarà solo una leggenda? Pare proprio di no, infatti gli ultimi studi scientifici rivelano che al suo interno esso contiene una discreta quantità di feromoni, sostanza affine al testosterone. Una prova? Negli USA il premio Nobel per la letteratura nel 1976, Saul Bellow, ha provato la gioia di diventare padre all’incredibile età di 84 anni. Bellow ha svelato come : “una bella scorpacciata di tartufi che profumano di sesso”. Vi è mai capitato di assaggiare il tartufo e di non saperne definire esattamente il sapore? Perché? Esiste un quinto gusto, l’umami, scoperto nel 1908 in Giappone dal chimico Ikeda e che nel 1985 è stato riconosciuto come gusto autonomo, incarnato a pieno dal tartufo e dai funghi. Essi rappresentano la pura essenza dell’umami: gusto intenso, profumo avvolgente, sapore quasi magico.



LA LEGGENDA DEL VISCHIO


C'era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva piu' nessun amico. Per tutta la vita era stato avido e avaro, aveva sempre anteposto il guadagno all'amicizia e ai rapporti umani. L'andamento dei suoi affari era l'unica cosa che gli importava. Di notte dormiva pochissimo, spesso si alzava e andava a contare il denaro che teneva in casa, nascosto in una cassapanca.
Per avere sempre piu' soldi, a volte si comportava in modo disonesto e approfittava della ingenuita' di alcune persone. Ma tanto a lui non importava, perche' non andava mai oltre le apparenze.
Non voleva conoscere quelli con i quali faceva affari. Non gli interessavano le loro storie e i loro problemi. E per questo motivo nessuno gli voleva bene.
Una notte di dicembre, ormai vicino a Natale, il vecchio mercante non riusciva a dormire e dopo aver fatto i conti dei guadagni, decise di uscire a fare una passeggiata.
Comincio' a sentire delle voci e delle risate, urla gioiose di bambini e canti.
Penso' che di notte era strano sentire tanto chiasso in paese. Si incuriosi' perche' non aveva ancora incontrato nessuno, nonostante voci e rumori sembrassero molto vicini.
A un certo punto comincio' a sentire qualcuno che pronunciava il suo nome, chiedeva aiuto e lo chiamava fratello. L'uomo non aveva fratelli o sorelle e si stupi'.
Per tutta la notte, ascolto' le voci che raccontavano storie tristi e allegre, vicende familiari e d'amore. Venne a sapere che alcuni vicini erano molto poveri e che sfamavano a fatica i figli; che altre persone soffrivano la solitudine oppure che non avevano mai dimenticato un amore di gioventu'.
Pentito per non aver mai capito che cosa si nascondeva dietro alle persone che vedeva tutti i giorni, l'uomo comincio' a piangere.
Pianse cosi' tanto che le sue lacrime si sparsero sul cespuglio al quale si era appoggiato.
E le lacrime non sparirono al mattino, ma continuarono a splendere come perle. Era nato il vischio.



 STELLA DI NATALE

Si racconta che , a Città del Messico, viveva una povera bambina indiana di nome Ines.
La sera della vigilia di Natale voleva portare un fiore a Gesù Bambino ma non aveva i soldi per acquistarlo. Girò per strada senza sapere cosa fare, poi decise di raccogliere dei rametti da un cespuglio visto per caso tra i ruderi di una chiesa.
Dopo averli raccolti pensò di abbellire il mazzetto con l'unica cosa bella che possedeva: un fiocco rosso per capelli. Arrivò alla chiesa che ormai era buio e Ines pensò di non trovarci nessuno. Una volta davanti a Gesù Bambino, depose il suo mazzolino. Subito dopo averlo messo vicino alla statua, sentì dietro di sé delle voci: erano delle persone stupite ed incuriosite dal bellissimo fiore di Ines; così le chiesero dove avesse trovato un fiore così splendido.
Ines si voltò verso il suo mazzolino e, incredula, vide che le foglie verdi del cespuglio si erano colorate di rosso e le bacche color oro al centro avevano preso la forma di un cuore.
Ines tornò a casa felice pensando che a Gesù fosse piaciuto il suo dono perché lo aveva trasformato nel fiore più bello del Messico: la Stella di Natale.



LA NOCE

Le noci sono protagoniste di leggende nate nel medioevo. Secondo la teoria della segnatura la somiglianza del gheriglio con gli emisferi cerebrali,riteneva le noci capaci di curare le malattie del cervello. Sotto gli alberi di noce si riteneva che si tenessero i sabbah, raduni di streghe che danzavano macabramente con il demonio soprattutto la notte di San Giovanni Battista. A Roma la chiesa di Santa Maria del popolo si dice fosse stata costruita su un luogo dove era cresciuto un noce frequentato da diavoli e figure infernali. In noce fu trasformata Caria da Dionisio e di legno di noce era il tempio eletto ad Artemide Cariatide che tramandò la storia della sventurata fanciullia. Sulle colonne del tempio furono scolpite figure femminili che presero il nome di cariatidi,termine in uso nell’architettura e nella storia dell’arte.. L’ombra del noce tra gli agricoltori pare sia particolarmente controindicata in caso di sudorazione estiva, perché provoca un abbassamento della temperatura rispetto a quello dell’ambiente circostante,provocando malanni.

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